La domanda più difficile che mi è stata fatta ad un colloquio di lavoro (e come ho risposto)
E grazie a quella risposta, ho ottenuto il lavoro :)
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E ora… sotto coi contenuti!
I colloqui di lavoro: un male necessario (?)
I colloqui sono una brutta bestia, un rituale secolare che poche aziende hanno davvero saputo affinare ed evolvere per renderli efficaci nel selezionale le persone GIUSTE per un ruolo. Eh si, dico giuste e non migliori perché non tutte le aziende hanno qualcosa da offrire ai migliori, e spesso accade che alcuni datori di lavoro cerchino i migliori e poi li perdano perché non danno loro gli stimoli e l’indipendenza che cercano.
Dico giuste appunto perché, quello tra azienda e collaboratore, è un rapporto e come tale non è che se prendi l’azienda perfetta e il lavoratore perfetto andranno necessariamente d’accordo. Si tratta di trovare quell’equilibrio magico in cui i difetti che persona e azienda hanno sono “tollerabili” all’altro.
Ne parlavo di recente ad un evento al quale ho partecipato paragonando il rapporto di lavoro a quello di coppia dicendo “non è che mia moglie è perfetta, né lo sono io, solo che troviamo i nostri difetti non solo sopportabili, ma spesso simpatici, e questo ci rende perfetti l’uno per l’altra”. (chissà se leggerà questa newsletter :p).
Il problema di chi assume
Fare i colloqui è una cosa che nessuno ci insegna ma che, magicamente, le aziende si aspettano che i manager siano capaci di fare. E questo è un problema.
Spesso i manager si trovano a fare domande scontate (che non servono né a capire se il candidato va bene, né a dare al poveraccio un’idea di che tipo di azienda o lavoro gli stiamo offrendo), a chiedere al candidato di raccontare il suo percorso professionale (sacrosanto), a fare quiz o domande stile “quante palline da golf stanno in un Boeing 747?” (da denuncia penale).
Non voglio fare un simposio sul recruiting, ma nella mia esperienza l’approccio migliore per un hiring manager è
capire quali sono le competenze e attitudini necessarie per avere successo nel ruolo per il quale state cercando (e questo va fatto ben prima del colloquio e va scritto nella job description)
fare domande ai candidati chiedendo di raccontare situazioni in cui hanno dovuto usare quelle competenze o attitudini
Faccio alcuni esempi:
molti candidati mettono sul CV che sono curiosi e intraprendenti. Bene, chiedete loro “mi racconti un episodio in cui hai mostrato curiosità sul lavoro?
molti lavori richiedono attenzione ai dettagli e i candidati spesso dicono di averne. Bene, di nuovo, “mi aiuti a capire come, nel tuo lavoro attuale, dimostri di essere preciso?”
Questo tipo di domande “situazionali” ha due vantaggi
impongono al candidato di pensare in termini di first principles, ovvero agli elementi fondanti alla base di ciò che fanno. Ricordate, le persone cambiano cosa fanno man mano che imparano e crescono ma gli elementi fondanti, i perché, cambiano raramente e su quelli dovremmo concentrare il recruiting e la valutazione del fit per ruolo/azienda;
mettono il candidato a suo agio perché parla, in teoria, di cose che conosce bene e potete così valutarlo in funzione di cosa sa e del suo atteggiamento senza il filtro delle emozioni e della pressione.
Il problema di chi vuole essere assunto
Non voglio entrare nei numerosi dettagli di cui parlo in Office of Cards, in cui spiego cosa fare per fare un CV d’impatto, preparare un colloquio, gestire il post-colloquio, negoziare lo stipendio e tante altre cose che credo siano utili per chi cerca lavoro… mi limito ad enfatizzare che cercare lavoro è un lavoro e come tale bisogna fare pratica, affinare le tecniche, raccogliere feedback sulla performance e migliorare sempre.
Ai ragazzi e alle ragazze a cui faccio coaching spesso dico “il colloquio è a due vie, da un lato è l’azienda che intervista te, dall’altro sei tu che intervisti loro per capire se vanno bene per te”. Questo secondo aspetto è spesso sottovalutato, molti candidati pensano che conti solo fare bella figura, che l’azienda sia magnanima nell’offrire loro, eventualmente, un’opportunità.
NO.
L’opportunità è duplice: dovete andarvi bene a vicenda.
Quindi, per minimizzare il rischio di sottovalutare questo aspetto il mio consiglio è: preparatevi bene (e nel libro spiego come fare) e fate mille domande! Così come ai manager suggerisco domande situazionali, così faccio coi candidati: chiedete “cosa fa l’azienda quando succede questo?”, oppure “se io faccio X il mio capo come reagisce?”, o ancora “quando l’anno scorso è successa la cosa Y che ho letto sui giornali, come l’avete gestita internamente?”.
E ascoltate le risposte, BENE. Chiedetevi come vi sareste sentiti se foste stati in azienda in quel momento, in quella situazione.
Ricordate: a lavoro passate circa la metà delle vostre ore da svegli, gli dedicate tempo che potreste dedicare alle vostre famiglie, alle vostre passioni… non buttate quel tempo su una cosa che vi dà fastidio e che non sentite vostra.
La domanda che mi ha lasciato a bocca aperta (e la risposta che mi ha fatto ottenere il lavoro)
I colloqui in Booking.com sono strutturati più o meno come ho detto sopra e la gran parte delle domande sono “dimmi una situazione in cui…” e ti chiedono di dimostrare, con esempi concreti sui quali poi vanno a fondo, che sei curioso, analitico, intraprendente, etc.
Sono molteplici colloqui, circa 6 in totale, e durante il mio processo di selezione, al 5o colloquio, ho incontrato un manager che mi ha fatto questa domanda:
qual è stata la cosa più difficile che hai dovuto fare come manager?
Una domanda decisamente non scontata e lì, quando ricevi questo tipo di domande, sai che se fai bene lascerai un segno indelebile nell’intervistatore.
La mia risposta è stata ponderata, mi sarò preso 30 secondi buoni per pensarci (anche se il tempo è abbastanza relativo in quei frangenti, comunque un po’ di silenzio c’è stato). Gli ho detto:
mi è capitato di dover lasciare a casa un ragazzo per direttive aziendali che non condividevo, un ragazzo in gamba che aveva una moglie che non lavorava, 2 figli piccoli, un terzo figlio in arrivo, e che l’azienda aveva trasferito solo 2 anni prima in Inghilterra.
Quindi proprio stronzi: prima lo spostano con la famiglia e tutto in un paese ULTRACARO e dopo 2 anni gli dicono “grazie del contributo, ciao”. Io ero livido ma, da manager, avevo un lavoro e dovevo farlo.
Il manager di Booking mi guarda con gli occhi sbarrati, evidentemente non gli è capitato spesso di sentire una risposta del genere, e chiede quindi “ok, questa è tosta, come l’hai gestita?”.
Bene, a lui ho detto esattamente quello che ho fatto, ovvero l’unica cosa che una persona di buon senso avrebbe dovuto fare, l’unica cosa che potevo fare per poter continuare a dormire la notte pur sapendo di aver complicato enormemente la vita di una persona alla quale ero legato, senza un reale motivo di business:
Semplice. Appena ho saputo quello che avrei dovuto fare, prima ancora di dirlo al ragazzo, ho contattato telefonicamente tutti (25) gli head hunters che conoscevo parlandogli di lui, girando loro il suo profilo LinkedIn, dando loro referenze stellari del lavoro che questo ragazzo aveva fatto, raccontando quanto fosse un buon team player e quanto ritenessi ingiustificato quello che stava accadendo.
Il manager sbarra ancora di più gli occhi e mi dice:
In oltre 20 anni di lavoro non ho mai sentito una risposta così bella, mi batterò per fa sì che tu venga assunto.
e così è stato :)
E in ragazzo in questione è andato a fare un lavoro che gli piaceva di più, al 40% di stipendio in più. Non male per uno che stava per finire su una strada :)
🏋️♂️Body
🛌Il sonno non è un’opzione
All’inizio del mio percorso di produttività ho pensato che dormire tante ore fosse una perdita di tempo. Alla fine, se ci pensiamo in modo razionale, potremmo dormire 1 ora in meno al giorno e, a fine settimana, avere un’intera giornata lavorativa in più rispetto a chi dorme un’ora più di noi.
Quindi ho fatto così, ho tolto 1h di sonno al mattino senza spostare l’ora in cui andavo a letto e così ho fatto per 2 anni, stando sulle 6h45’ di sonno a notte.
Non è andata male e usavo questo tempo per il podcast, altre attività extra-lavorative, meditazione, esercizi…
Poi ho letto Why we sleep di Matt Walker (link alla versione italiana qui) e ho capito che sono pirla :)
Lascio a voi la lettura del libro e, se volete, in una newsletter futura approfondiremo il tema sonno, ma il punto è: se dormo “il giusto” ho meno ore da sveglio a disposizione, ma sono MOLTO più presente, produttivo, energizzato e, quindi, sono meno ore ma di qualità molto più elevata.
Ora dormo in media 7h36’ al giorno, con qualche sbalzo, ma abbastanza regolare direi. E mi sento alla grande, al punto che quando sgarro lo sento eccome!
🧠Mind
Un episodio pazzesco di un podcast che seguo, lo consiglio a chi di voi trova “scuse” per non fare quello che sappiamo di dover fare ma lasciamo vincere la non-voglia, la pigrizia, l’inerzia…
Se lo ascoltate bene e paragonate qualsiasi sia il problema che vi affligge con quello che racconta questo berretto verde… beh, vi sembrerà molto più piccolo e trovare scuse sarà molto più difficile :)
🎥I video della settimana
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