L'importanza di essere importanti
Ovvero: il legame indissolubile tra il senso che diamo alle cose e la nostra felicità :)
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L’importanza di essere importante
Qualche giorno fa ho avuto una conversazione con mia madre che mi ha fatto riflettere molto. Mi ha chiesto: "Ma non ti senti triste?". Io, un po’ sorpreso, ho risposto: "No, perché dovrei?". E lei: "Perché prima avevi un lavoro importante e ora non più".
La sua osservazione mi ha colpito. Per anni ho lavorato in grandi aziende, con ruoli di responsabilità, stipendi sempre crescenti, benefit, riconoscimenti. Ruoli, a suo modo di vedere, ma non solo suo, “importanti”.
Eppure, la realtà è che ero un numero. Un numero ben pagato, forse, ma comunque un numero. Perché? Perché da quando ho lasciato quelle aziende, loro sono andate avanti come se nulla fosse. Nessun crollo, nessun dramma, nessun impatto reale per chi è rimasto.
Certo, magari qualcuno ha detto "che peccato", "era bravo", "chissà dove andrà". Ma il giorno dopo erano tutti di nuovo presi dalle loro riunioni, dalle loro scadenze, dalle loro metriche.
E allora, ero davvero "importante"?
Beh, dipende.
La nostra importanza in un contesto aziendale è spesso sopravvalutata, più da noi stessi che dagli altri. Pensiamo di essere fondamentali, ma nella maggior parte dei casi non lo siamo. Questo non significa che il nostro lavoro non abbia valore, significa solo che siamo sostituibili. E quando ci accorgiamo di essere sostituibili, iniziamo a chiederci: "Ma allora cosa conta davvero?".
Viktor Frankl, nel suo libro L’uomo alla ricerca del senso, parla proprio di questo: il bisogno umano di trovare un significato in ciò che facciamo. Frankl, sopravvissuto ai campi di concentramento, ha osservato che chi riusciva a trovare uno scopo, una ragione per andare avanti, aveva molte più possibilità di resistere anche alle situazioni più estreme. Questo concetto è stato ripreso da tanti altri autori e filosofi: da Nietzsche, che diceva "Chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni come", fino a Cal Newport, che in "Così bravo che non potranno ignorarti" spiega come la nostra realizzazione professionale non derivi dal "seguire la passione", ma dal costruire competenze che abbiano un impatto reale sugli altri.
E allora mi sono chiesto: “oggi, nel mio lavoro, sono importante?”
La risposta è sì. Ma non perché ho un titolo altisonante o perché il mio nome compare in qualche organigramma di aziende blasonate.
Oggi sono importante perché faccio cose che solo io posso fare.
Nessuno può sostituirmi nel ruolo di padre per le mie figlie. Nessuno può essere il marito che mia moglie ha scelto. Nessuno può offrire agli imprenditori con cui lavoro esattamente il mio mix di esperienza, valori, visione.
Oggi il mio impatto è più diretto, più tangibile, più vero. E per questo mi sento più felice, perché la mia vita e i miei sacrifici hanno più senso per me e le persone intorno a me. Mi impegno per avere impatto su tutte le persone con cui interagisco e il risultato è che nessuno mi dà per scontato.
Questa conversazione con mia madre mi ha fatto riflettere sulla dicotomia tra “cosa facciamo” e “chi siamo”, e i problemi che nascono quando le due cose sono completamente dissociate.
Pensare che la nostra importanza derivi da un titolo o da un’azienda è sempre molto rischioso, in realtà dovrebbe derivare dal valore che creiamo per le persone che ci circondano. E questo ci poterà sempre a dare il meglio di noi in tutto quello che facciamo.
E allora ti lascio con una domanda: nelle cose che fai oggi, dove sei davvero importante? Dove il tuo contributo è unico e insostituibile? E se non trovi una risposta chiara, forse è il momento di ripensare dove stai investendo il tuo tempo e le tue energie.
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