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La domanda che (forse) non ti sei mai posto
Oggi voglio parlarvi di una riflessione che ho fatto durante queste vacanze di Natale. Tutti vogliamo essere felici, avere successo, vivere una vita da sogno, giusto? Ci sono centinaia di fuffaguru che con permutazioni di parole tipo “felicità”, “passive income”, “3000 euro al mese senza fare niente” fanno letteralmente milioni abbindolando la gente che insegue questi sogni.
Ma non credo che la domanda “cosa mi serve per essere felice?” sia quella giusta, perché è focalizzata sull’outcome. Io invece, pragmatico convinto, mi concentro sulle variabili che posso controllare, ovvero gli input.
Quindi credo che la vera domanda, quella che ti permette di AGIRE, sia invece “cosa siamo disposti a sopportare per ottenerlo?”.
Questa è una provocazione che arriva direttamente dal libro The Subtle Art of Not Giving a F*ck di Mark Manson, e vi assicuro che è una di quelle che cambiano il modo di vedere le cose. (Nota: per colpa del titolo ci ho messo 3 anni a decidere di leggere quel libro ma è un capolavoro di filosofie di vita che merita di essere letto - link qui per la versione inglese e qui per quella italiana, se comprate da questi link supportate questa newsletter e tutto quello che faccio :))
Pensateci: tutti vogliono una carriera straordinaria, ma non tutti sono disposti a sostenere orari infiniti, sacrifici personali, rischi. Tutti vogliono relazioni perfette, ma pochi sono disposti a gestire i conflitti, le vulnerabilità e i compromessi che le rendono reali.
Manson ci sfida a chiederci: quale dolore siamo disposti a sopportare? Perché è qui che si gioca la vera partita. La qualità della nostra vita non è determinata da quanto riusciamo a raggiungere le cose belle, ma da come sappiamo gestire quelle brutte. Il successo è una conseguenza, non un punto di partenza.
Vi faccio un esempio personale. Alla fine del 2023 sono uscito dal mondo corporate, un mondo che mi ha dato un sacco di soddisfazioni, mi ha fatto fare una discreta carriera, mi ha insegnato praticamente tutto quello che so del mondo del lavoro.
I primi mesi sono stati molto difficili e la tentazione di “rientrare” era forte (e non nego di averci provato, senza però riuscirci).
Ma poi ho pensato “ok, quell’opzione sembra non essere più sul tavolo e comunque il fatto di essere assunto in una grande azienda dipende solo in parte da me quindi… concentriamoci su COSA POSSO FARE IO ORA per stare bene”.
Ho iniziato a prioritizzare il tempo con la mia famiglia (ad esempio portare per 2 volte a settimana mia figlia a Jiu Jitsu e guardarla mentre si diverte e “mi cerca” con lo sguardo… #ciaone se hai un lavoro full time con capi schiavisti come è capitato a me non molto tempo fa), ho fatto viaggi “avventurosi”, abbiamo visitato molte città entro 2h di auto da Milano, abbiamo guardato film insieme sul divano sotto la coperta… e mi sono anche tolto uno sfizio enorme tutto per me: conoscere la mia band preferita. Insomma, quello dipendeva da me e l’ho fatto.
Poi mi sono concentrato su trovare modi per mettere al servizio di PMI le mie competenze e mi sono creato un lavoro (ma di questo parlerò più avanti).







Il punto è che per me quel dolore aveva senso. Il “dolore” di non avere più un posto fisso era molto meglio del dolore di essere schiavizzato fino a notte fonda per uno stipendio che, di fatto, non mi dava quello che realmente volevo. Ora amo il viaggio, non solo la destinazione. Anzi, a dirla tutta, non so nemmeno dove sto andando ma mi godo ogni giorno al 100%.
Pensiamo per un attimo al concetto di “scalare una montagna”. È facile immaginare il panorama mozzafiato dalla vetta, la soddisfazione di avercela fatta, l’aria pura che ti riempie i polmoni. Ma quanti di noi si fermano a pensare alla fatica della salita? Al sudore, alle vesciche, alla stanchezza che sembra non finire mai? Se non amiamo anche quella parte, è molto probabile che non arriveremo mai in cima.
E non c’è nulla di sbagliato in questo.
Manson sottolinea che il problema non è non voler scalare la montagna, ma essere onesti con se stessi.
A volte, pensiamo di desiderare qualcosa perché ne amiamo l’immagine, ma non siamo davvero pronti ad affrontare ciò che serve per ottenerla. E sapete una cosa? Va benissimo così. Essere onesti su ciò che non siamo disposti a fare è un atto di grande chiarezza e maturità.
E lo stesso vale per le aziende. Quando analizziamo i punti di contatto tra le aziende e i loro clienti, emerge sempre che i risultati migliori arrivano da chi non ha paura di affrontare le criticità, di ascoltare il feedback, anche quando fa male. È lì che si fa la differenza.
Manson ci ricorda che il dolore non è sempre una cosa negativa. Anzi, può essere il segnale che stiamo facendo qualcosa che vale la pena fare.
Penso agli allenamenti che faccio ogni giorno. Sono facili? A volte, ma il più delle volte no. A volte sono indolenzito, ho freddo, voglio stare a letto. Però poi mi guardo allo specchio e vedo che sono in uno stato di forma migliore rispetto a quando avevo 20 anni, mi sento tonico, non mi ammalo quasi mai, ho energie da vendere ogni giorno e tengo testa alle mie piccole senza restare senza fiato dopo 2 calci a un pallone.
Quindi il “dolore” e la fatica che faccio ogni giorno paga, e basta pensare a quanto sono contento di averla fatta che mi viene voglia di farla ancora, anche se in sé non è una cosa piacevole.
E voi? Qual è il dolore che siete disposti a scegliere?
Facciamo qualche esempio.
Volete un fisico invidiabile? Dovete essere disposti ad amare la fatica dell’allenamento, il sudore, le sveglie presto per andare in palestra, e anche dire no a quella fetta di torta che vi tenta al compleanno di un amico.
Volete una relazione straordinaria? Allora preparatevi ad affrontare le conversazioni difficili, a mettere in discussione voi stessi e a superare i momenti in cui sembra che nulla stia funzionando.
Volete avviare un business? È un sogno meraviglioso, ma non si realizza senza accettare il rischio di fallire, senza notti insonni e senza fare i conti con l’incertezza.
La differenza tra chi riesce e chi non riesce spesso non sta nel talento, ma nella capacità di abbracciare il processo, anche quando è difficile.
Questa riflessione ci porta a un punto fondamentale: non esiste un successo senza una lotta.
Non è una questione di “volontà di ferro” o di slogan motivazionali. È una questione di scegliere la lotta giusta per noi. E quando lo facciamo, scopriamo che la fatica, il dolore e gli ostacoli non sono più nemici da combattere, ma alleati che ci spingono avanti.
Ecco perché oggi vi invito a riflettere. Non su cosa desiderate, ma su cosa siete disposti a sacrificare per ottenerlo. Forse non è una domanda che vi siete mai posti, ma vi assicuro che la risposta può cambiare il modo in cui vedete la vostra vita e le vostre scelte.
Che ne pensate? Qual è il dolore che avete scelto e come ha cambiato la vostra vita? Se vi va di condividere le vostre riflessioni e lo fate tramite un social, taggatemi e taggate questa newsletter, mi darete una grande mano a crescere :)
🎥 New Year, new you
L’anno nuovo è sempre un momento per fare buoni propositi, darsi nuovi obiettivi e creare nuove abitudini che portino a uno stile di vita più in linea con le persone che vorremmo essere.
Dopo i bagordi di Natale ci sono i vari mi iscrivo in palestra, vegenuary, dry january… tutti ottimi propositi che falliscono alla prima difficoltà.
Quello che ci serve non è un obiettivo, ma un SISTEMA che, se seguito, ci porti all’obiettivo.
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