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E ora… sotto coi contenuti!
PS: Se rispondi a questa email sappi che IO LEGGO TUTTO, ma non è detto che riesca a rispondere a tutti (o comunque non sempre in tempi brevi), porta pazienza.
Il punto cieco
Oggi voglio parlarvi di un nemico che avete, che vi segue qualsiasi cosa facciate, che trama alle vostre spalle per uscire allo scoperto nei momenti più impensati e fregarvi: il punto cieco (che gli inglesi chiamano blind spot).
Da un punto di vista medico un punto cieco è un’area del nostro occhio in cui non ci sono nervi fotorecettori e che quindi non processa immagini.
Da un punto di vista pratico però il punto cieco è anche un modo per indicare una cosa che non vediamo, l’esempio più tipico è quando siete alla guida: un punto cieco è quello che non vedete a causa dei battenti.
Punto cieco è una metafora usata anche per descrivere situazioni in cui ci troviamo di cui non vediamo un pezzo.
Purtroppo il nostro cervello è alla costante ricerca di scorciatoie per risparmiare energia e quindi, appena pensiamo di avere capito qualcosa, siamo convinti di averla proprio capita fino in fondo e smettiamo di metterla in discussione e di cercare di acquisire nuove informazioni.
Quante volte vi è capitato che qualcuno vi spiegasse qualcosa, magari voi l’avete addirittura interrotto dicendo “ok ho capito” salvo poi fare una figuraccia quando avete provato a fare quella cosa e avete sbagliato perché VI MANCAVA QUALCHE PEZZO? Quel pezzo è proprio il punto cieco, quello che nemmeno sapevate esistesse e che invece vi serve per fare quello che volete fare.
Vi faccio alcuni esempi:
in una relazione, una persona si comporta in modo irritante e voi reagite trattandola male (blind spot: perché si comporta così? magari ha un problema che noi potremmo aiutare a risolvere)
a lavoro: ci spiegano una cosa, pensiamo di averla capita, magari abbiamo anche paura di fare domande per non sembrare stupidi e… quando ci mettiamo a fare quella data cosa ci incartiamo e non riusciamo a farla, o la facciamo in modo errato, dovendo poi gestire il problema di spiegarlo a chi contava su di noi per quella cosa
a me sta capitando in continuazione quando faccio i video per il canale Youtube di Office of Cards… sono partito premendo REC sul telefono e mi sono detto “ok so fare i video”. Poi però mi sono detto “forse posso farli meglio” e ho fatto alcuni corsi… è innumerevole il numero di volte in cui ho detto “ok ho capito” salvo poi schiantarmi ogni volta che provavo a fare le cose che avevo imparato e sembravano facili.
Possiamo dividere la realtà che ci circonda in 4 quadranti
cose che sappiamo di sapere: area di comfort, so che lo so e quindi vado sereno
cose che sappiamo di non sapere: anche qui comfort, so che non lo so quindi sto attento e con gli occhi aperti
cose che non sappiamo di sapere: qui meno comfort ma comunque rischio basso perché di fatto sono cose che sappiamo. magari la paura o la prudenza ci fa stare all’erta ma il rischio di conclusioni catastrofiche è mitigato dalla cosa che, anche se inconsciamente, sappiamo
cose che non sappiamo di non sapere: questa è la ZONA PERICOLO, il blind spot, ovvero c’è una cosa che non sappiamo, e per di più non sappiamo di non saperla e quindi, spesso, abbassiamo la guardia perché non siamo nemmeno consapevoli che esista un pezzo che ci stiamo perdendo!
Cerchiamo quindi di capire come fare a limitare sia il numero di situazioni in cui abbiamo da gestire un punto cieco, sia i danni che possono derivare da un eventuale punto cieco.
I miei tips per limitare i danni del blind spot
Awareness - Chiedere feedback
La cosa fondamentale è che se tu chiarisci che stai chiedendo feedback perché vuoi migliorare e avere più impatto, allora faciliti anche il feedback spontaneo, quello che la gente ti dà quando non lo chiedi (che spesso è quando ne hai più bisogno perché c’è un possibile problema che non vedi).
Domanda che mi fanno spesso: Ma chiedere troppi feedback non potrebbe essere percepito come un’insicurezza? Se #feedbackisagift, I regali non si chiedono! Sbaglio?
Risposta mia: Non va chiesto sempre (perché poi diventiamo dipendenti dal feedback e quindi meno sicuri di noi stessi) e non sempre alle stesse persone (anche per ridurre il rischio di avere punti ciechi in comune)
ad esempio quando ho scritto office of cards ho chiesto feedback su TUTTO il libro solo a 3 persone, ma sui singoli capitoli ho interpellato oltre 15 persone.
Il feedback dev’essere sulla cosa o il comportamento, non sulla persona. Domande specifiche aiutano a spersonalizzare il feedback
“ti piace questa slide?” vs “pensi che io sia bravo a fare slide?”
“secondo te la presentazione di ieri era incisiva?” vs “sono bravo a fare le presentazioni?”
“pensi che questa campagna marketing avrà impatto sul target donne 30-40 anni?” vs “che ne pensi della campagna marketing?”
un paio di esempi su upward e downward feedback
Tu sei il direttore marketing, ovvero la persona più senior nel tuo contesto aziendale su quel tema specifico, e vai a chiedere a un generico, ad esempio il CEO, feedback sulla tua ultima campagna marketing. Non è sbagliato in sè, ma va fatto nel modo giusto per estrarre il valore dell’opinione altrui senza perdere credito nei loro confronti.
Anche qui il feedback specifico è quello che ci salva.
Ad esempio puoi dire “allora, la campagna aveva questi obiettivi, il target erano questi clienti e il messaggio doveva essere questo. Abbiamo avuto riscontri molto positivi dai sondaggi, clicks etc… (metriche e facts) però volevo comunque chiedere a te cosa ne pensi perché rispetto molto la tua esperienza e voglio essere sicuro che il tuo giudizio sia preso in considerazione adesso che siamo in pianificazione per le campagne del prossimo anno”. Questo è POTENTE perché così il capo si sente gratificato. Tipicamente avrà qualche opinione e così gli diamo modo di esprimerla, lo facciamo sentire parte del processo, stuzzichiamo un po’ il suo ego facendogli capire che la sua opinione conta, anche se non è un esperto di marketing. E, fondamentale, se per caso c’era qualcosa che non andava, SIAMO IN PIENO CONTROLLO DEL PROCESSO perché gli abbiamo chiarito, prima che parlasse, quali erano i goals e quali i risultati finora, evitando che una sua opinione negativa non informata potesse incancrenirsi (che poi è dura risolvere)Idem con i team members. Chiedere feedback a chi riporta a te è importante perché incoraggia una cultura del dialogo che vuol dire che tipicamente, se le cose non dovessero andare bene, non ti vedi arrivare una lettera di dimissioni, ma magari ne parlano prima.
E poi ovviamente, chiedere feedback vi dà modo di sedervi con le vostre persone e fare loro coaching, vedere come pensano, stabilire empatia… è un modo per fare formazione indiretta, far vedere loro come noi pensiamo il lavoro vada fatto ed è molto più impattante che DIRE come il lavoro va fatto.
Pensate a come vi sentite quando il vostro capo vi dice “questo si fa così” rispetto a quando viene da voi e vi dice “io questa cosa la farei così, tu che dici?”. Meglio la seconda, vero?
Accettare il feedback
Poi bisogna accettare il feedback e rispettare sempre l’opinione degli altri. Ricordarsi sempre che in questo contesto non conta chi o come siamo, ma conta come veniamo percepiti. #perceptionisreality
Esempio: mi dicono che sono diretto. E io potrei pensare “lo sono così e grazie a questo produco decisioni e risultati a ritmo impressionante, voi indecisi parlate e parlate e non fate niente” e magari lo dico anche.
Mi aiuta questo modo di pensare/comunicare?
No, perché anche se ho ragione, non porta gli altri dalla mia parte quindi l’UNICA cosa da fare è mettermi l’ego in tasca, dare loro ragione, ringraziarli per il feedback e fare come dicono per cambiare la percezione e raggiungere l’obiettivo.Il problema non è che sono diretto, ma che lui lo percepisce come problema
Ricordate questa massima: al feedback non si risponde, si prende e si ringrazia.
Umiltà nell’accettare il feedback e nel lavorare sodo per cambiare
Sii umile e assumi sempre che gli altri abbiano ragione #perceptionisreality
Una volta capito come veniamo percepiti è importante essere umili e riflettere sul fatto che questo o quel comportamento può potenzialmente essere un impedimento alla nostra carriera.
Io tendo sempre a pensare che tutto sia migliorabile quindi lavoro anche sui feedback neutri per cercare di farli diventare positivi.
Lavora sul feedback e #gethelp per migliorare
Però attenzione anche a capire quello che è rilevante per noi. È un feedback condiviso da diverse persone o è totalmente l’opposto da quello che normalmente ci dicono? Chi ce lo sta dando? Ci deve essere il giusto compromesso fra il prendere il feedback umilmente e non prendere tutto indiscriminatamente.
Se è un feedback rilevante per noi, dobbiamo lavorarci e farci aiutare a smussare gli angoli e gli spigoli che ci sono stati fatti notare.
Non si può cambiare radicalmente, ma non è quello l’obiettivo, dobbiamo cambiare la percezione che gli altri hanno di noi e va quindi capito qual è il segnale che mandiamo che causa quella percezione. Esempio: essere umili è una caratteristica intrinseca e non tutti ce l’hanno; comportarsi con umiltà è un’azione che tutti possono fare.Sarebbe opportuno chiedere aiuto in questo processo di miglioramento, cercando feedback costanti e, se possibile, coach che ci aiutano e ci seguono nel nostro percorso di miglioramento.
#gethelp
Portare persone a tifare per noi, a renderle partecipi della nostra crescita
Ripeti all’infinito
E poi chiedere feedback sul progresso che stiamo facendo e continuare a iterare finché non siamo riusciti a cambiare la percezione che gli altri hanno di noi.
Conclusione
Spero di avervi fornito qualche elemento utile per imparare a riconoscere i punti ciechi e ridurre l’impatto negativo che possono avere sulle vostre vite.
Mi raccomando, le cose belle sono migliori se condivise quindi, se vi è piaciuta questa newsletter, condividetela coi vostri amici e mettete un cuoricino, alla prossima!
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Bravo Davide, mi sto già preparando il mio google form per i feedback di fine anno :) Manuel